giovedì 17 gennaio 2013

Panorami a maniche corte.

Un modo di conoscere il mondo è certamente quello di prendere un aereo e atterrare su uno sconosciuto spicchio del nostro pianeta. C'è chi lo fa con un telecomando in mano senza mai alzare il sedere dai morbidi cuscini del proprio divano, chi con un album di francobolli, chi con ricette esotiche da spadellare in cucina e chi vagabondando da una bancarella all'altra cercando oggetti di artigianato provenienti da remoti meridiani.
Ma c'è anche un altro modo.
Ognuno di noi indossa quello che ritiene rappresentare maggiormente il proprio carattere ed il gruppo umano a cui si appartiene o si vorrebbe appartenere. In poche parole, i nostri indumenti sono le coordinate della geografia umana in cui ci collochiamo: sono dei messaggi senza parole, delle presentazioni implicite della nostra identità.
Ogni maglietta, paio di scarpe o borsa che portiamo con noi diventa il nostro ambasciatore per rapportarci coi nostri simili secondo la più basilare delle comunicazioni non verbali.

Si inaugura allora in questo spazio un capitolo dedicato a questi mondi di tessuto, ognuno capace di raccontarci una storia.

Per cominciare, dopo questo lungo preambolo, non vorrei usare troppe parole ancora. Del resto trovo che, in un frangente di conclamata decadenza come quello che stiamo vivendo, le parole scritte sulla maglietta che qui vi mostro si commentino da sole e siano più che convincenti per stimolare sull'argomento un nuovo spunto di riflessione, meno lamentoso e ben più interessante.
La maglietta era indossata da un ragazzo di colore incrociato alla stazione Termini di Roma.

"L'uomo di Neanderthal, nel momento stesso in cui incontra per la prima volta l'Homo Sapiens, si rende conto di essere stato surclassato e destinato all'estinzione. "

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